Marco Melandri è stato un grande interprete della MotoGP degli anni Duemila, ed ha fatto riferimento ai motori di Valentino Rossi.
La MotoGP degli anni Duemila pullulava di campioni italiani, di rider che facevano girare la testa agli spagnoli, che dopo l’epopea di Valentino Rossi sono saliti in cattedra. Tra i più talentuosi rientrava anche Marco Melandri, campione del mondo della classe 250 nel 2002 in sella all’Aprilia, che purtroppo non riuscì a ripetersi in classe regina.
Melandri, come ricorderete, si è laureato vice-campione del mondo in MotoGP con la Honda Gresini nel 2005, anno delle sue prime due vittorie in top class, arrivate nelle ultime due tappe in Turchia ed a Valencia. Nel 2006 ottenne altri tre successi in Turchia, in Francia ed in Australia, e c’è la sensazione che al rider ravennate sia mancata solamente la moto ufficiale per poter lottare realmente per il titolo mondiale. Ed è proprio questo l’argomento che ha voluto approfondire.
MotoGP, ecco il parere di Marco Melandri
Nella MotoGP attuale, c’è una differenza nettamente minore tra un team ufficiale ed uno satellite, come lo stesso Marco Melandri ha fatto notare in un’intervista concessa a “Motosprint“. L’ex rider ha anche operato alcuni esempi che lo hanno visto come protagonista, soprattutto agli inizi della sua carriera in classe regina, quando il materiale non era proprio di primissima qualità, almeno in termini di usura.
Ecco le sue parole: “Il team ufficiale è il punto di riferimento adesso, visto che puoi lavorare sullo sviluppo e sul miglioramento della moto. Nel mio caso, non mi sentivo nel team ufficiale nel 2003, perché stavano lavorando già per il 2004. Per quanto riguarda i team satelliti, vi basta pensare che nella prima gara in Sudafrica corsi con il motore big bang, mentre in un’altra sono andato in pista con il motore screamer“.
L’ex MotoGP ha poi fatto riferimento ai motori che utilizzava, che spesso erano già stati sfruttati da Valentino Rossi ed altri piloti: “Nel passato, non era come oggi, dove hai sette motori per stagione. All’epoca era tutto aperto, io montavo spesso anche i motori già utilizzati da Valentino Rossi e da Carlos Checa, che avevano già fatto tanta strada. Credo sia oggettivo dire che avevo a disposizione una moto nettamente inferiore, solo il team ufficiale ti poteva dare un vantaggio. Ciò era valido anche per i software e l’elettronica, mentre la squadra privata doveva capire tutto da zero“.