Se guardiamo indietro nel tempo, fino agli inizi degli anni Sessanta, i motori automobilistici con uno o due alberi a camme in testa equipaggiavano quasi esclusivamente pochi modelli particolarmente evoluti. Basti pensare a Casa automobilistiche come Ferrari o Maserati, per esempio. Nella produzione di serie, spiccavano nomi del calibro di Alfa Romeo e Jaguar che portavano con se un know-how che gli permetteva di realizzare efficienti motori bialbero.
Il problema fondamentale che contrastava l’impiego di uno o due alberi a camme era sostanzialmente da ricercarsi nella difficoltà di realizzare un sistema silenzioso che fosse anche ragionevolmente economico e affidabile.
Alfa Romeo e Jaguar avevano provato ad affrontare il problema con uno schema a doppio stadio, con due catene di lunghezza contenuta che limitavano le oscillazioni. All’epoca era davvero complicato realizzare tenditori davvero efficaci e ci si scontrava con numerose problematiche.
Un unico tenditore non è sufficiente per sostenere una distribuzione mono o bialbero perché agisce su un solo ramo della catena. Si trattava di trovare soluzioni diverse.
Il primo motore con cinghia dentata
Nel 1962 è entrata in produzione la tedesca Isar S 1004 che ha il grande merito di aver aperto la strada all’impiego della cinghia dentata per il comando della distribuzione, dettaglio che avrebbe rivoluzionato da li a breve il settore automobilistico.
Nella testa era alloggiato un albero a camme comandato da una cinghia dentata in gomma sintetica con inserti resistenti realizzati con fili di acciaio. La parte interna dentata, consentiva la trasmissione sincrona del moto.
Il debutto delle cinghie
In realtà, le cinghie dentate hanno fatto la loro comparsa all’inizio degli anni Quaranta ma, a quell’epoca, hanno trovato applicazione sostanzialmente in campo industriale e sulle macchine per ufficio anche se nel 1956, Bill Devin, ne aveva utilizzata una per la distribuzione bialbero in una vettura da competizione di piccola cilindrata. Questo avvenimento non ebbe grande risonanza.
Gli anni a venire
Dopo il debutto della Isar, si capì che il sistema adottato per il comando degli alberi a camme era valido. Molte Casa automobilistiche iniziarono a nutrire un certo interesse per la questione al punto che, nel 1966, altre due vetture comparvero con lo stesso sistema. Si trattava della Pontiac Tempest con motore monoalbero a sei cilindri in linea di 3,8 litri e della Fiat 124 Sport Spider con motore bialbero nato da una idea di Aurelio Lampredi.
Successivamente furono gli inglesi Ford e Vauxhall ad adottare la cinghia dentata nella distribuzione delle proprie vetture, confermando che questo meccanismo stava prendendo seriamente piede. La fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta si sono susseguiti di nomi illustri che hanno fatto ricorso alla cinghia dentata. Si parte dalla Fiat 128 del 1969, alle Ford Taunus, Cortina e Pinto del 1970, passando per la Alfasud del 1972 e molte altre.
La cinghia dentata
In poche parole, una cinghia dentata è composta da un corpo in neoprene con inserti resistenti inestensibili realizzati in fibra di vetro avvolta che ha preso il posto dell’acciaio. Queste fibre formano delle specie di cordicelle.
Sul lato principale sono collocati dei denti che hanno il compito di attaccarsi alle pulegge e garantire la trasmissione del moto. Sugli stessi denti è applicato uno strato protettivo in tessuto di nylon. Ovviamente ci sono diverse varianti che, però, si rifanno praticamente alla versione base.
Vantaggi e svantaggi
Le cinghie dentate hanno diversi vantaggi a partire dal costo contenuto, dalla silenziosità e dal fatto che non richiedono lubrificazione per funzionare. Anche il rendimento è piuttosto elevato. Tutti questi dettagli le hanno fatto preferire di gran lunga alle catene per la distribuzione del moto.
D’altro canto, la durata di una cinghia è piuttosto inferiore a quella di una catena. Di solito, è raro che una cinghia duri per più di 120.000 chilometri anche se ultimamente i materiali utilizzati e la tecnologia stanno migliorando questo aspetto.
Un altro dettaglio da considerare è che una cinghia richiede una precisa tensione per lavorare correttamente e che il suo ingombro assiale è mediamente maggiore di quello di una catena.
La cinghia dentata sulle moto
Sulle moto le cinghie dentate sono arrivate verso gli anni Settanta ma non hanno riscosso lo stesso successo delle quattro ruote. Uno dei primi modelli ad utilizzarla è stata, nel ‘71, la Ducati , con la 500 bicilindrica da GP sviluppata da Renato Armaroli e, qualche anno dopo, la Morini 3 1/2, la prima moto di serie con distribuzione ad aste e bilancieri equipaggiata con una cinghia dentata.
Anche Honda ha percorso questa strada nel 1975 con il quadricilindrico boxer della Gold Wing 1000. Nel 1977 Ducati ha proseguito presentando la bicilindrica Pantah con distribuzione monoalbero desmodromica con due cinghie dentate. Fu un passo importante di cui si avvertono le conseguenze positive anche nei modelli attuali.
Diversi anni dopo, negli anni Ottanta, la cinghia dentata fu adottata sui monocilindrici Rotax 500 e 350 monoalbero raffreddato ad aria e sul Gilera Dakota.
Scarso successo nel settore delle due ruote
La cinghia dentata però non ha riscosso lo stesso successo nelle due ruote. I motivi principali sono probabilmente da ricercarsi nelle dimensioni, non troppo contenute rispetto a quelle degli organi della moto. Questo risulta essere uno svantaggio legato alla perdita di compattezza.
Un secondo problema è legato al fatto che le cinghie devono lavorare a temperature di esercizio limitate, questione spinosa per una motocicletta a dispetto di una catena che non presenta questo inconveniente. Poi c’è da parlare della durata della cinghia che, spesso, viene messa in difficoltà dall’uso che si può fare di una motocicletta soggetta anche a forti sbalzi. Una catena, in questo senso, si dimostra nettamente più longeva.
Sembrerà strano ma anche il fattore estetico ha influito, soprattutto nei modelli equipaggiati con motori raffreddati ad aria.