Doveva essere una rivoluzione tecnica. Finì per diventare l’esempio perfetto di come non si progetta una moto.
Ci sono idee che sembrano troppo belle, troppo geniali, troppo semplici per essere vere. Viene da chiedersi perché nessuno ci abbia pensato prima. E delle volte la ragione si scopre abbastanza presto. Facciamo un passo indietro: nelgli anni ’70, l’invasione delle moto giapponesi aveva messo in crisi i produttori europei.
Le Honda, le Kawasaki, le Suzuki dominavano il mercato con modelli veloci e affidabili. La Benelli di Pesaro decise di rispondere con un colpo a effetto. L’idea venne dal nuovo proprietario, Alejandro de Tomaso: copiare il quattro cilindri Honda 500 e trasformarlo in un sei cilindri. Una scelta audace, forse troppo.
L’ingegner Prampolini si mise al lavoro sul nuovo propulsore. Il risultato impressionava: 747 cc di cilindrata, 63 cavalli scalpitanti, velocità oltre i 200 orari. Le linee della carrozzeria, disegnate negli studi Ghia e Vignale, incantavano gli sguardi. I fornitori erano il meglio dell’industria italiana: Brembo per i freni, Marzocchi per le sospensioni, Pirelli per le gomme.
La presentazione nell’ottobre ’72 all’hotel Canal Grande di Modena fu un trionfo. I prototipi, assemblati con cura certosina a Pesaro, funzionavano alla perfezione. La produzione passò poi agli stabilimenti Moto Guzzi di Mandello. Qui tutto andò a rotoli.
Le prime moto arrivarono nei negozi nel ’74, con due anni di ritardo. Gli esemplari di serie sembravano lontani parenti dei prototipi. Il motore perdeva olio come un colabrodo. Le camme si consumavano in poche settimane. Il cambio si rompeva guardandolo storto. Le finiture ricordavano un progetto amatoriale.
Il prezzo alto rendeva la pillola ancora più amara. I clienti pagavano un patrimonio per una moto che passava più tempo dal meccanico che in strada. Le vendite crollarono. La reputazione della 750 Sei finì nel fango.
I pochi fortunati che riuscivano a guidarla senza problemi raccontavano meraviglie. Il motore, nelle rare giornate di grazia, regalava emozioni uniche: elastico, potente, con un sound indimenticabile. La moto si muoveva agile nonostante il peso importante di 232 chili.
Gli anni hanno trasformato questo fallimento in un pezzo da collezione. Una 750 Sei oggi vale tra i 4.000 e i 15.000 euro, secondo le condizioni. I collezionisti la cercano per la sua unicità tecnica e per quella storia così particolare. Una rivincita tardiva per una moto nata dalla copia di un progetto altrui e rovinata dalla troppa fretta.
La storia della 750 Sei insegna una lezione semplice: l’innovazione richiede tempo e pazienza. La fretta di arrivare primi ha trasformato un’idea geniale in un disastro commerciale. Come un piatto di alta cucina cucinato in cinque minuti: gli ingredienti erano eccellenti, il risultato catastrofico. Come si dice a Masterchef: ” Devi lasciare il grembiule”